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Kenya- Il teleshow più colorato

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Kenya- Il teleshow più colorato  Empty Kenya- Il teleshow più colorato

Ven 15 Ott 2010, 12:30
Il teleshow più colorato
resta quello della natura



ALESSANDRA COMAZZI

MASAI MARA
Gli gnu inondano la savana con la loro aria ancestrale, preistorica. L’incarnazione dei graffiti nelle grotte di Cro-Magnon. Devono attraversare il fiume Mara per lasciare il Kenya e andare in Tanzania, dove il pascolo è più ricco. Aspettano, indugiano, fiutano i pericoli, i coccodrilli, i grandi predatori, ma anche i mulinelli. Sono branchi di migliaia di capi. Il numero dà forza, ma c’è sempre qualcuno che non ce la fa. Lo slogan è: «Sono nati per muoversi. O si muovono, o soccombono». Le migrazioni degli animali ricordano quelle umane, si va dove ci sono

risorse. Di storie vere e forti è fatta la serie di documentari dedicati alle «Great migrations», dal 31 ottobre ogni domenica sera per sei puntate più uno speciale su Nat Geo Wild, canale 405 di Sky, e su National Geographic Channel HD, canale 402.

Si seguiranno differenti migrazioni: pipistrelli in Australia, zebre e gnu in Botswana, elefanti in Mali, granchi rossi alle Christmas Islands, nell’Oceano Indiano, squali bianchi nel Pacifico. Le puntate non si suddividono per specie, ma per tema: la corsa, la lotta, il cibo, il sesso. Il dietro le quinte, anche. La voce narrante è, nella versione originale americana, quella di Alec Baldwin, piena e stentorea. In Italia ci sarà quella vellutata e morbida di Luca Ward. Un lavoro colossale del National Geographic. «È il progetto più ambizioso nella storia televisiva del gruppo», dice Steve Burns, il vicepresidente. Quasi tre anni di riprese, suddivise in oltre 800 giorni: 150 ore in elicottero, 400 sott’acqua, 250 di notte, con tutte le temperatura, da meno 10 sotto zero a 48 sopra. Telecamere speciali, speciali tecnologie. Ma trucchi no. Tanti investimenti e tanti soldi. Soprattutto, tanta pazienza. Perché qui, nella savana come negli oceani, gli animali non sono attori e, se si vuole riprendere la storia, bisogna immaginare che avverrà, e aspettare che avvenga.

Il «crossing»
Beverly ed Erick Joubert hanno seguito le zebre in Botswana. Sono una coppia di documentaristi sudafricani. Di mezza età, belli entrambi, lui ha l’aria da guru, capello grigio e coda di cavallo e alta statura, una cintura masai alla vita, lei sempre curata anche nella jungla, «non bisogna mai perdere la femminilità». Storie, dunque: ma che cosa viene prima? La storia vera o quella che voi avete in mente? Risponde Erick: «Io so che se seguo una madre con il piccolo al momento del crossing, è quasi certo che qualcosa capiterà». Che cos’è il crossing? «L’attraversamento del fiume. Le zebre e gli gnu viaggiano insieme, vivono in una specie di simbiosi, poiché brucano la stessa erba a altezze differenti. Quando si spostano in massa per andarsi a cercare pascoli migliori, affrontano inevitabili pericoli. Il primo dei quali è che essi stessi sono cibo. Le storie si formano sotto i nostri occhi, sono storie di amore e di morte: ma dobbiamo avere la pazienza di aspettarle». Grandi pericoli pure per i grandi felini, i «big cats», raccontati da un’altra serie di documentari sempre realizzati dai Joubert, in onda a fine anno su Nat Geo Wild.

La lotta per la sopravvienza
La mamma e il piccolo, dunque, eccoli lì. La zebra ha attraversato il fiume. Non è stata inghiottita dalla corrente, né afferrata da un coccodrillo. Scampato pericolo. Ma che fa? Guarda l’altra sponda. Nitrisce forte. Risponde un nitrito. Torna indietro, riattraversa. Il suo piccolo non l’ha seguita, forse la debolezza, forse la paura. Lei lo pungola con il muso, si rigetta in acqua, raggiunge di nuovo la riva opposta. Si guarda indietro. Il piccolo non c’è. Né mai arriverà, trascinato via dalla corrente. La zebra continua a scrutare la sponda, disperata, determinata. Arriva un altro adulto, il maschio, è come se le parlasse all’orecchio. Ma lei non se ne fa una ragione, resta lì. Soltanto dopo molto, molto tempo, si decide a partire, a lasciare ogni speranza. È una scena di un’intensità, di una tristezza, di una drammaticità infinite. C’è tutto, la vita e la morte, la lotta per la sopravvivenza e l’istinto, la legge del più forte, l’amor materno, il sacrificio e la rassegnazione. È una storia vera, è una storia forte. Autentica e romantica. Per assistervi, bisogna stare ore e ore, otto, dieci, in silenzio, sul bordo del fiume.

Pazienza e tecnica. Prendiamo i granchi: è impressionante la loro «umanità», quegli occhi da cagnone. Non è un trucco, è lo «slow motion» che rallenta, ma fedelmente. Le migrazioni degli animali - nota David Hamlin, il produttore della serie - ricordandoci quelle dell’uomo, ci insegnano la compassione. L’incredibile propensione per la vita di ogni essere». Ma come mai quando il leone azzanna lo gnu alla gola c’è così poco sangue? Che fate, edulcorate? «Sì, è una scelta stilistica. Non vogliamo mistificare, ma nemmeno fare un prodotto splatter. È l’epica, che ci interessa».

Italia, o cara
La tivù italiana non produce documentari sugli animali, compra soltanto. Che mercato è? «Un ottimo mercato. All’Italia piace moltissimo il genere animalistico: è l’unico paese in cui sono presenti tutti e cinque i canali di National Geographic».


da: lazampa.it
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