- mammussiMODERATORE
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Kenya Viaggio tra i Samburu
Mar 18 Set 2012, 17:04
Kenya, viaggio tra i Samburu
È la nobile tribù di pastori nomadi dell’East Africa.
Un popolo orgoglioso che abita fuori dai circuiti del turismo di massa, in un Paese sospeso fra ieri e oggi, fra la nuova, esuberante ricchezza delle megalopoli e la povertà delle bidonville. Senza accettare compromessi e vivendo nel rispetto delle tradizioni.
Perché, dicono, «siamo i padroni della Terra»
La fila delle nere gobbe dei dromedari incide il rosso violento del cielo equatoriale. Un tramonto tanto rapido, quasi irreale se non fossimo in Africa, qualche centinaio di chilometri a ovest di Nairobi, tra il monte Kenya e il lago Turkana. «Quando il sole scende, gli occhi muoiono», dice un vecchio detto di questa terra. E così pare, seguendo le ultime visibili nuvole di polvere rossiccia sollevata dalla lenta camminata degli animali. Dietro di loro si staglia la figura elegante e snella di un Lmorran, un giovane pastoreguerriero Samburu. In questo paesaggio di pietra e terra dura, tra arbusti spinosi e poche palme doum, dove solo le lunghissime radici delle acacie ombrellifere riescono a vincere l’estenuante battaglia per la conquista di qualche goccia d’acqua, vive, ma sarebbe meglio dire sopravvive, una delle tribù più antiche e nobili dell’East Africa, i Samburu, orgoglioso popolo seminomade, fiero delle sue tradizioni e con una lingua propria. Quando parlano di se stessi, questi antichi guerrieri si definiscono Lokop, i «padroni delle terra». E qui, lungo l’Ewaso Ny’ro, il fiume marrone dalle anse che sembrano disegnate con il compasso e che non finisce in mare, si estende anche una delle più belle aree naturali protette. Uno spicchio di Kenya lasciato in disparte, nel bene e nel male, dai flussi turistici con il loro denaro e i posti di lavoro, ma anche con le loro devastazioni. In questo Kenya sospeso tra tradizione e modernità, tra la ricchezza della borghesia emergente e l’estrema povertà di milioni di persone; con un’urbanizzazione che porta metà della popolazione ad abitare nelle grandi e caotiche città, dove i grattacieli e il wi-fi convivono con le capanne di fango e l’infibulazione femminile.
Appena sopra la linea dell’Equatore, la Samburu National Reserve si estende per quasi duecento chilometri quadrati ad altitudini che variano tra gli 800 metri del fiume e i 1.230 del monte Koitogor. Un sistema naturale composto, insieme a quelle di Buffalo Springs e al vulcano di Shaba, da tre diverse aree protette. Centinaia di specie di uccelli popolano l’arida savana, saltuariamente interrotta da macchie di acacie. Sulle sponde dell’Ewaso Ny’ro, «abitato» da coccodrilli e immensi ippopotami, spuntano rigogliose foreste dominate dalle palme doum. Sono habitat perfetti per il grande elefante africano, che qui è presente in gran numero, ma anche per zebre, gazzelle, antilopi, giraffe e per i loro grandi predatori, leoni, leopardi e ghepardi. Tante anche le specie tipiche dell’area centro-settentrionale del Kenya come i gerenuk, le antilopi dal lungo collo, e con loro le giraffe reticolate e le zebre di Grevy. All’interno dei parchi si può soggiornare in alcuni lodge in legno o in campi tendati ecofriendly, con camere lussuosamente arredate. Nella riserva di Buffalo Springs, con le dovute cautele, in quattro località è consentito campeggiare autonomamente. Qui, salendo le falde del vulcano di Shaba, si può ripercorrere la storia della naturalista Joy Adamson, l’indimenticata autrice di Born Free (Nata Libera, ndr), libro autobiografico e film premiato con l’Oscar che racconta la storia vera di Elsa, una piccola leonessa orfana adottata dalla Adamson e degli sforzi, una volta cresciuta, per reinserirla nel suo ambiente naturale. Joy morì proprio qui nel 1980, e qui è ricordata.
Appena sopra la linea dell’Equatore, la Samburu National Reserve si estende per quasi duecento chilometri quadrati ad altitudini che variano tra gli 800 metri del fiume e i 1.230 del monte Koitogor.
Un sistema naturale composto, insieme a quelle di Buffalo Springs e al vulcano di Shaba, da tre diverse aree protette.
Centinaia di specie di uccelli popolano l’arida savana, saltuariamente interrotta da macchie di acacie.
Sulle sponde dell’Ewaso Ny’ro, «abitato» da coccodrilli e immensi ippopotami, spuntano rigogliose foreste dominate dalle palme doum. Sono habitat perfetti per il grande elefante africano, che qui è presente in gran numero, ma anche per zebre, gazzelle, antilopi, giraffe e per i loro grandi predatori, leoni, leopardi e ghepardi.
Tante anche le specie tipiche dell’area centro-settentrionale del Kenya come i gerenuk, le antilopi dal lungo collo, e con loro le giraffe reticolate e le zebre di Grevy.
All’interno dei parchi si può soggiornare in alcuni lodge in legno o in campi tendati ecofriendly, con camere lussuosamente arredate.
Nella riserva di Buffalo Springs, con le dovute cautele, in quattro località è consentito campeggiare autonomamente.
Qui, salendo le falde del vulcano di Shaba, si può ripercorrere la storia della naturalista Joy Adamson, l’indimenticata autrice di Born Free (Nata Libera, ndr), libro autobiografico e film premiato con l’Oscar che racconta la storia vera di Elsa, una piccola leonessa orfana adottata dalla Adamson e degli sforzi, una volta cresciuta, per reinserirla nel suo ambiente naturale. Joy morì proprio qui nel 1980, e qui è ricordata.
Sulla cima di queste arse colline battute dal vento sorgono i villaggi dei Samburu, popolo di origini nilote, arrivato dal Sudan intorno al 1700.
I piccoli agglomerati sono formati di solito da tre, quattro famiglie che rimangono nello stesso posto per uno, al massimo due mesi. Poi si spostano, alla ricerca di nuovi pascoli per le mucche, le capre e i dromedari.
Poligami, ogni famiglia possiede tante tende quante sono le mogli. Sono le donne a costruire le capanne rotonde con fango, bastoni intrecciati e sterco di mucca per renderle impermeabili.
Una coperta chiude il basso passaggio per l’entrata e, in alto, solo due piccoli fori consentono l’ingresso di qualche raggio di luce.
All’interno, le pietre con il fuoco per cucinare e due piccole stanze: in una dorme l’uomo con i figli maschi, nell’altra la moglie con le femmine. Le decisioni della comunità sono prese solo dagli uomini del clan, le donne possono dire la loro, ma non hanno alcun potere: passano la loro vita cercando l’acqua, mungendo le mucche e costruendo stupende collane colorate con perline tenute da peli di coda di elefante.
Ognuna di loro ha un significato e le portano al collo sia donne che uomini. Braccia e caviglie sono avvolte da braccialetti di rame, ottone, alluminio, cavetti attorcigliati in disegni simbolici e affascinanti.
Prima del matrimonio, rito di passaggio dalla pubertà all’età adulta, alle donne vengono asportati il clitoride e le piccole labbra, e solo da allora possono avere figli. L’infibulazione è ancora diffusa in molte zone del Kenya, nonostante il governo cerchi di combatterla: la donna che la rifiuta, viene emarginata dalla comunità.
I giovani uomini invece trascorrono il tempo nell’accudire le mandrie di mucche e le greggi di capre. Alcuni di loro fanno il fabbro, mestiere che gode di grandissima reputazione.
Tutti diventeranno moran, guerrieri, dopo la circoncisione, durante la quale non un gemito deve uscire dalla bocca del ragazzo: poi, gli verranno consegnati l’arco e le frecce con la sacra resina della montagna, e sua madre potrà sfoggiare la collana di perline bianche e nere che indicano che suo figlio è un Lmorran, un vero guerriero.
Come per i «cugini» Masai, la base della dieta Samburu è mais, sorgo, qualche verdura e il latte di mucca mescolato al sangue caldo. Ma non disdegnano la selvaggina e nei periodi di carestia la carne di capra.
Il pesce no, il pesce è sacro perché sacra è l’acqua.
Nella lingua Maa la parola Nkai ha un duplice significato, può essere «dio» ma anche «pioggia», acqua da temere e adorare per la sopravvivenza.
Mentre la maggior parte delle altre etnie che popolano il Paese ha cercato l’integrazione e il progresso, rendendo il Kenya la più stabile democrazia di questa parte d’Africa e promuovendo un considerevole salto economico con tassi di crescita paragonabili a quelli cinesi, i Samburu si sono sempre più isolati.
Hanno orgogliosamente preferito inasprire le differenze tra la loro cultura e le loro tradizioni con il nuovo. Non sono mai stati coinvolti nella vita politica, e si sono sempre più allontanati da un mondo che stentavano a comprendere. Il risultato è che, rispetto alle altre etnie, il loro livello di sviluppo scolastico e sanitario è molto inferiore.
Quello dei Samburu rimane un Kenya antico, un mondo in rotta di collisione con il nuovo, con il traffico e lo smog di Nairobi e Mombasa.
Megalopoli in rapidissima crescita dove di fianco ai lussuosi quartieri della nuova borghesia nera crescono a dismisura le peggiori bidonville. Terra di contrasti feroci in un’epoca feroce, con milioni di persone che ancora vivono delle briciole degli aiuti internazionali.
Ma questo non tocca il giovane lmorran: lui spia l’ultimo raggio che infiamma il cielo e sa solo che «quando il sole scende, anche gli occhi muoiono».
Articolo di Bruno Angelico
Vanity Fair
È la nobile tribù di pastori nomadi dell’East Africa.
Un popolo orgoglioso che abita fuori dai circuiti del turismo di massa, in un Paese sospeso fra ieri e oggi, fra la nuova, esuberante ricchezza delle megalopoli e la povertà delle bidonville. Senza accettare compromessi e vivendo nel rispetto delle tradizioni.
Perché, dicono, «siamo i padroni della Terra»
La fila delle nere gobbe dei dromedari incide il rosso violento del cielo equatoriale. Un tramonto tanto rapido, quasi irreale se non fossimo in Africa, qualche centinaio di chilometri a ovest di Nairobi, tra il monte Kenya e il lago Turkana. «Quando il sole scende, gli occhi muoiono», dice un vecchio detto di questa terra. E così pare, seguendo le ultime visibili nuvole di polvere rossiccia sollevata dalla lenta camminata degli animali. Dietro di loro si staglia la figura elegante e snella di un Lmorran, un giovane pastoreguerriero Samburu. In questo paesaggio di pietra e terra dura, tra arbusti spinosi e poche palme doum, dove solo le lunghissime radici delle acacie ombrellifere riescono a vincere l’estenuante battaglia per la conquista di qualche goccia d’acqua, vive, ma sarebbe meglio dire sopravvive, una delle tribù più antiche e nobili dell’East Africa, i Samburu, orgoglioso popolo seminomade, fiero delle sue tradizioni e con una lingua propria. Quando parlano di se stessi, questi antichi guerrieri si definiscono Lokop, i «padroni delle terra». E qui, lungo l’Ewaso Ny’ro, il fiume marrone dalle anse che sembrano disegnate con il compasso e che non finisce in mare, si estende anche una delle più belle aree naturali protette. Uno spicchio di Kenya lasciato in disparte, nel bene e nel male, dai flussi turistici con il loro denaro e i posti di lavoro, ma anche con le loro devastazioni. In questo Kenya sospeso tra tradizione e modernità, tra la ricchezza della borghesia emergente e l’estrema povertà di milioni di persone; con un’urbanizzazione che porta metà della popolazione ad abitare nelle grandi e caotiche città, dove i grattacieli e il wi-fi convivono con le capanne di fango e l’infibulazione femminile.
Appena sopra la linea dell’Equatore, la Samburu National Reserve si estende per quasi duecento chilometri quadrati ad altitudini che variano tra gli 800 metri del fiume e i 1.230 del monte Koitogor. Un sistema naturale composto, insieme a quelle di Buffalo Springs e al vulcano di Shaba, da tre diverse aree protette. Centinaia di specie di uccelli popolano l’arida savana, saltuariamente interrotta da macchie di acacie. Sulle sponde dell’Ewaso Ny’ro, «abitato» da coccodrilli e immensi ippopotami, spuntano rigogliose foreste dominate dalle palme doum. Sono habitat perfetti per il grande elefante africano, che qui è presente in gran numero, ma anche per zebre, gazzelle, antilopi, giraffe e per i loro grandi predatori, leoni, leopardi e ghepardi. Tante anche le specie tipiche dell’area centro-settentrionale del Kenya come i gerenuk, le antilopi dal lungo collo, e con loro le giraffe reticolate e le zebre di Grevy. All’interno dei parchi si può soggiornare in alcuni lodge in legno o in campi tendati ecofriendly, con camere lussuosamente arredate. Nella riserva di Buffalo Springs, con le dovute cautele, in quattro località è consentito campeggiare autonomamente. Qui, salendo le falde del vulcano di Shaba, si può ripercorrere la storia della naturalista Joy Adamson, l’indimenticata autrice di Born Free (Nata Libera, ndr), libro autobiografico e film premiato con l’Oscar che racconta la storia vera di Elsa, una piccola leonessa orfana adottata dalla Adamson e degli sforzi, una volta cresciuta, per reinserirla nel suo ambiente naturale. Joy morì proprio qui nel 1980, e qui è ricordata.
Appena sopra la linea dell’Equatore, la Samburu National Reserve si estende per quasi duecento chilometri quadrati ad altitudini che variano tra gli 800 metri del fiume e i 1.230 del monte Koitogor.
Un sistema naturale composto, insieme a quelle di Buffalo Springs e al vulcano di Shaba, da tre diverse aree protette.
Centinaia di specie di uccelli popolano l’arida savana, saltuariamente interrotta da macchie di acacie.
Sulle sponde dell’Ewaso Ny’ro, «abitato» da coccodrilli e immensi ippopotami, spuntano rigogliose foreste dominate dalle palme doum. Sono habitat perfetti per il grande elefante africano, che qui è presente in gran numero, ma anche per zebre, gazzelle, antilopi, giraffe e per i loro grandi predatori, leoni, leopardi e ghepardi.
Tante anche le specie tipiche dell’area centro-settentrionale del Kenya come i gerenuk, le antilopi dal lungo collo, e con loro le giraffe reticolate e le zebre di Grevy.
All’interno dei parchi si può soggiornare in alcuni lodge in legno o in campi tendati ecofriendly, con camere lussuosamente arredate.
Nella riserva di Buffalo Springs, con le dovute cautele, in quattro località è consentito campeggiare autonomamente.
Qui, salendo le falde del vulcano di Shaba, si può ripercorrere la storia della naturalista Joy Adamson, l’indimenticata autrice di Born Free (Nata Libera, ndr), libro autobiografico e film premiato con l’Oscar che racconta la storia vera di Elsa, una piccola leonessa orfana adottata dalla Adamson e degli sforzi, una volta cresciuta, per reinserirla nel suo ambiente naturale. Joy morì proprio qui nel 1980, e qui è ricordata.
Sulla cima di queste arse colline battute dal vento sorgono i villaggi dei Samburu, popolo di origini nilote, arrivato dal Sudan intorno al 1700.
I piccoli agglomerati sono formati di solito da tre, quattro famiglie che rimangono nello stesso posto per uno, al massimo due mesi. Poi si spostano, alla ricerca di nuovi pascoli per le mucche, le capre e i dromedari.
Poligami, ogni famiglia possiede tante tende quante sono le mogli. Sono le donne a costruire le capanne rotonde con fango, bastoni intrecciati e sterco di mucca per renderle impermeabili.
Una coperta chiude il basso passaggio per l’entrata e, in alto, solo due piccoli fori consentono l’ingresso di qualche raggio di luce.
All’interno, le pietre con il fuoco per cucinare e due piccole stanze: in una dorme l’uomo con i figli maschi, nell’altra la moglie con le femmine. Le decisioni della comunità sono prese solo dagli uomini del clan, le donne possono dire la loro, ma non hanno alcun potere: passano la loro vita cercando l’acqua, mungendo le mucche e costruendo stupende collane colorate con perline tenute da peli di coda di elefante.
Ognuna di loro ha un significato e le portano al collo sia donne che uomini. Braccia e caviglie sono avvolte da braccialetti di rame, ottone, alluminio, cavetti attorcigliati in disegni simbolici e affascinanti.
Prima del matrimonio, rito di passaggio dalla pubertà all’età adulta, alle donne vengono asportati il clitoride e le piccole labbra, e solo da allora possono avere figli. L’infibulazione è ancora diffusa in molte zone del Kenya, nonostante il governo cerchi di combatterla: la donna che la rifiuta, viene emarginata dalla comunità.
I giovani uomini invece trascorrono il tempo nell’accudire le mandrie di mucche e le greggi di capre. Alcuni di loro fanno il fabbro, mestiere che gode di grandissima reputazione.
Tutti diventeranno moran, guerrieri, dopo la circoncisione, durante la quale non un gemito deve uscire dalla bocca del ragazzo: poi, gli verranno consegnati l’arco e le frecce con la sacra resina della montagna, e sua madre potrà sfoggiare la collana di perline bianche e nere che indicano che suo figlio è un Lmorran, un vero guerriero.
Come per i «cugini» Masai, la base della dieta Samburu è mais, sorgo, qualche verdura e il latte di mucca mescolato al sangue caldo. Ma non disdegnano la selvaggina e nei periodi di carestia la carne di capra.
Il pesce no, il pesce è sacro perché sacra è l’acqua.
Nella lingua Maa la parola Nkai ha un duplice significato, può essere «dio» ma anche «pioggia», acqua da temere e adorare per la sopravvivenza.
Mentre la maggior parte delle altre etnie che popolano il Paese ha cercato l’integrazione e il progresso, rendendo il Kenya la più stabile democrazia di questa parte d’Africa e promuovendo un considerevole salto economico con tassi di crescita paragonabili a quelli cinesi, i Samburu si sono sempre più isolati.
Hanno orgogliosamente preferito inasprire le differenze tra la loro cultura e le loro tradizioni con il nuovo. Non sono mai stati coinvolti nella vita politica, e si sono sempre più allontanati da un mondo che stentavano a comprendere. Il risultato è che, rispetto alle altre etnie, il loro livello di sviluppo scolastico e sanitario è molto inferiore.
Quello dei Samburu rimane un Kenya antico, un mondo in rotta di collisione con il nuovo, con il traffico e lo smog di Nairobi e Mombasa.
Megalopoli in rapidissima crescita dove di fianco ai lussuosi quartieri della nuova borghesia nera crescono a dismisura le peggiori bidonville. Terra di contrasti feroci in un’epoca feroce, con milioni di persone che ancora vivono delle briciole degli aiuti internazionali.
Ma questo non tocca il giovane lmorran: lui spia l’ultimo raggio che infiamma il cielo e sa solo che «quando il sole scende, anche gli occhi muoiono».
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