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Kenya la mia prima volta a Malindi

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jannis
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Kenya la mia prima volta a Malindi Empty Kenya la mia prima volta a Malindi

Sab 25 Ago 2012, 12:40
"LA MIA PRIMA VOLTA A MALINDI"
di Camillo Vittici
Qui la gente deve essere o tutta matta o non aver mai preso la patente. Non ti dico lo stringimento delle parti intime posteriori nel vedere che l’autista stava guidando come un matto con la radio a paletta, ma non solo... Non ti dico lo spavento quando mi sono accorto che stava guidando dalla parte sinistra della strada. Poi mi son ricordato che il mio amico Filippo mi ha detto che sotto l’equatore (che, quando ci sono passato sopra, non l’ho visto per va di quella maledetta ala) tutto e‘ al contrario di qua, dalle stagioni alle stelle del cielo e, evidentemente, anche le strade.
Quando sono arrivato al Villaggio ho stralunato gli occhi! Mai vista una roba del genere. L’entrata e le camere non avevano i tetti come le nostre, ma di paglia. Sicuramente e’ perché il Kenia fa parte del terzo mondo e sono poveri e non si possono permettere coppi o tegole normali. Per prima cosa alla recinzione (che non ho capito perché la chiamino così, ma, sul cartello lì sopra, c’era proprio scritto Reception. Sarà per non far passare le scimmie e gli elefanti) mi hanno chiesto il Passaporto, mi hanno attaccato al polso un braccialetto di plastica (molto probabilmente devono servire a ritrovarti se ti perdi in paese) e un facchino, anche lui extracomunitario, mi ha preso la valigia e mi ha accompagnato in camera. Anche qui una sorpresa! Un letto così grande che, se ci si entra in due, per trovare l’altro si deve usare il navigatore. Sopra la coperta, ben disposti, dei fiori colorati di ogni colore. Al mio sguardo di ammirazione il facchino ha allungato la mano verso i fiori e mi ha detto “Maritati” che presumibilmente si riferisce a letto matrimoniale per gli sposati, ma io sono da solo e devono avermelo dato lo stesso in previsione che fossi riuscito a cuccare qualcuna di qua. Che gentili! Lì in parte, contro l’altro muro, un letto più piccolo che lui ha chiamato “Pelo Pelo”. Magari ci sarà stato su un cane o una scimmia dal culo pelato per via del fatto che ci avrà lasciato su il pelo. Comunque il facchino nero continuava a tenere la mano tesa e aperta. Allora, in un lampo di genio come e’ il mio solito, ho avuto l’intuizione... Che invece di stare ad indicarmi i fiorellini e il Pelo Pelo volesse la mancia? In un encomiabile slancio di generosità gli piazzo nel bel mezzo del palmo (ma com’e’ ‘sta storia? Uno tutto nero col palmo delle mani bianco? O e’ finto o si e’ dimenticato di prendere il sole anche lì un cinquantone di centesimi di euro e che vada a bere e mangiare alla mia salute e che crepi di indigestione!
Sto disfando la valigia quando, verso l’una, sento suonare dei tamburi. Sicuramente, penso io, le tribù della vicina Savana si stanno scambiando messaggi in mancanza di cellulare o telefono a manovella. Cerimonia funebre? Matrimonio dei locali aborigeni? Banditore di avvisi comunali? Niente di tutto questo! Guardo dalla finestra e vedo una processione di gente bianca che si dirige verso un salone all’aperto. Un ragazzino biondo di capelli e rosso come un peperone di spalle mi dice di correre che il pranzo e’ pronto. Ho saputo che qui il bianco lo chiamano Musolungo, ma non ho capito il perché.
Una tavolata piena di ogni ben di Dio! Aveva ragione il mio amico Filippo... qui e’ tutto diverso che da noi. A Igea Marina ti davano le lasagne al lunedì, gli spaghetti al martedì, il risotto al mercoledì e via dicendo, ma qui c’erano tutti i cibi della settimana e ancora di più. In ordine di prelevamento mi sono preso... Piatto ricolmo fino all’orlo di spaghetti alla puttanesca, lasagne con ripieno di pesce, pollo fritto, bistecca di una trota locale, sette varietà di verdure, frutti strani che si vedono solo da queste parti quali banane un po’ più piccole delle nostre (che lo facciano per risparmiare?), pagaia, tango, anguria (che qui, non so perché, lo chiamano melone) e, per finire, un bel tirami su con contorno con cioccolato fondente fuso. Ma non solo... Anche sul barettino della spiaggia si può bere e mangiare anche se e’ un po’ complicato farsi capire perché qui parlano il suili, no, il suini. Gli chiedo: “Mi porti una Pizza Margherita con tanto pomodoro?”. Quello scatta e parte in picchiata. Si fa vivo dopo una buona mezz’ora con la Magherita e, a parte, su un grosso vassoio, almeno due chili di pomodori.
Finalmente posso godermi il famoso mare dei Tropici del Canchero. Indosso il costume, percorro il parco del Villaggio con tanto verde, con i buganditi che si arrampicano sul baobao e scendo in spiaggia e mi godo la pace che ho sempre sognato senza avere fra i piedi i Vu Cumpra’ e i venditori ambulanti di Igea Marina con i loro “Signora comprare tappeto”, “Piangi bambino che la mamma ti compera il bombolone”. Non faccio a tempo a guardarmi in giro che... Che si siano spostati tutti qua? Che siano tutti tornati al loro paese per mancanza di permesso di soggiorno? Vengo ciscondato da nugoli di ragazzini che si chiamano tutti Bicci Boi (ma qui non dovevano esserci solo nugoli di zanzare?) che fra un ciao come stai, un acuna patata e un dammi qualche scellino che ho fame mi tolgono il sole, il fiato e la serenità con cui volevo iniziare la giornata. Ne vedo uno che, con in mano un grosso pesce rosso mi dice di comperarlo perché non ha i soldi per mangiare. La prima cosa che gli dico e’ di mangiarsi il pesce, ma dallo sguardo che mi rivolge capisco che o e’ allergico al pesce o non gli piace per niente. Qualcuno mi propone di condurmi a Sardegna due (primo non sapevo che ne esistesse un’altra, secondo mi sembra che sia un po’ troppo lontana), alle piscine sott’acqua (questa non l’ho ancora capita...), a Caraffa, chiamata anche le Forcine del diavolo (non sapevo che l’inferno fosse così vicino) e alla spiaggia del Sale dove si vedono le pepite d’oro direttamente sulla spiaggia. Alla fine sgattaiolo via come un ladro e, con perfetto slalom all’Alberto Tomba, raggiungo il Villaggio.
Il mattino successivo qualcuno mi ha consigliato di prendermi un Tuc Tuc. Pensavo fossero i classici biscotti che da noi si chiamano proprio Tuc, quelli talmente friabili che, quando li intingi nel caffelatte, non fai a tempo a tirarli fuori che sono già sciolti e ti rimane in mano solo il pezzettino asciutto che hai fra le dita. No, questi sono tutt’altra cosa, anzi, tutt’altri cosi. Sono dei baracchini tipo i nostri Ape Car che si vedevano in passato sulle nostre strade e che servivano per piccoli carichi o per trasportare le cose più varie e ormai inutili alla discarica comunale. Qui, pero’, ci salgono le persone che, invece di portarle alla discarica, li mollano al Care Blisse, al Bar Bar (famoso locale di ritrovo per balbuzienti), al Casino, al Tasche Safari, allo Stardassoo e al Mercato dei turisti che, se esci vivo, e’ davvero un miracolo perché rischi di morire squartato tanto ti tirano di qua e di la.. Corrorono come matti, traballano come le pedani vibranti che si usano in palestra, saltellano come cavallette superando i dossi di un metro e venti di altezza che limitano la velocità delle strade e che ti fregano le balestre (li chiamano Bamp sicuramente per riprodurre il rumore che, ad ogni salto, fa la nostra testa quando batte sui ferri del loro soffitto), sciamano tipo formicaio (io lo chiamerei Tuctucaio) fra buche e fuoristrada, ma miracolosamente ti portano dove volevi arrivare. Comunque, per quelli che volessero spendere meno, ci sono anche delle motociclette a doppio sedile che sicuramente devono avere origini bergamasche poiché vengono chiamate Pota Pota. Prima di partire dall’Italia mi hanno fatto una testa grande così per tutte le malattie che avrei potuto prendere in Africa. Meglio se mi fossi fatto un profilattico. Il mio amico Filippo mi ha detto di non preoccuparmi perché lui e’ sempre tornato vivo e vegetale. Comunque un altro mio amico e’ andato su Internet a vedere quello che forse mi sarei preso. Nell’ordine... epatite virile, dissenterite rettale, polipo all’utero (che non avrei potuto prendere perché finora non ha fatto ancora un bagno in mare), se piove i dolori romantici, la malaria se ti punge la zanzara, ma solo se la zanzara e’ femmina e per di più incinta (la prossima volta farò un corso per stabilire il sesso delle zanzare a prima vista. Il test di gravidanza sulle zanzare mi hanno detto che non l’hanno ancora inventato), il cactus cerebrale, la vagina pecoris, l’estitichezza cronica, le vene vanitose per il caldo, il solleone che ti può dare disturbi alla vista tipo perdere delle dottrine e diventare presbitero e, dolcis in fondo, il diabete mellifluo. Comunque mi sono informato per bene e mi hanno detto che qui ci sono un sacco di ospedali. Però qui non c’e’ la Mutua, neanche per quelli che in Italia hanno il Tic e allora ho deciso di mettermi in malattia quando tornerò a casa.
Ieri sera, con tre nuove conoscenze del Villaggio, sono stato in una balera che qui chiamano il Frumento. Bel locale, con musica spaccatimpani e bella gente. Devono essere iniziate le vacanze perché non ho mai visto tante studentesse in un colpo solo. Solo a guardarle sentivo che le palle degli occhi mi volevano schizzare fuori come le palline del ping pong. Devono essere di una Università di lingue straniere perché parlano l’italiano meglio di me e dei miei tre amici perché uno viene dalla Val Imagna in provincia di Bergamo, il secondo da Bagolino in provincia di Brescia e il terzo un oriundo siciliano che ormai e’ nel milanese da un sacco di tempo, ma che dice lo stesso “Minchia che femmene! Bedde, scostumate e un po’ bottane!”. E’ qui che incontro lei, Mara. Un incrocio stupendo fra una gazzella e una giraffa. Portamento alto, elegante, signorile. Gambe slanciate tipo Chichibio e la gru, culo all’altezza giusta poco sotto i fianchi, tette che prorompono da tutte le parti come se volessero scoppiare da un momento all’altro. Di sicuro questa non s’e’ fatta il lising di silicone come le nostre. “Ciao, sono Mara. Tu come ti chiami?”. Balbetto un po’ il mio nome ancora nella tremenda incertezza che si sia rivolta proprio a me. Mi son sentito portare in paradiso quando si e’ seduta accanto a me, mi ha messo un braccio sulle spalle e con la mano ha iniziato a farmi un ghirigori fra i capelli. In quel momento ho sentito suonare la trombe di eustachio, le campane della Chiesa del mio paese lontano, i fuochi artificiali della festa del Patrono. “Posso offrirti una gazzosa?” le dico in un momento di euforia. “Un Gin Fizzo” mi risponde. E vada per il Gin Fizzo! Roviniamoci! Viene da un paese sulla strada per il parco Schiavo, non ricordo se dell’est o dell’ovest, ma fa lo stesso, che si chiama Checoioni o qualcosa di simile. Comunque la mia intuizione era giusta. Studia, non ho capito che cosa, ma studia. Se a scuola e’ brava come mi sta parlando e accarezzando deve essere la prima della classe. Mi azzardo... “Mara. Vuoi venire con me?”. “Si’ amore” mi risponde lei con una vocina d’angelo. Non so se dirle che sono sposato poiché, sincerità per sincerità, non merita di tradire la sua fiducia di donna ormai innamorata persa. Mi riazzardo... “Ma sai, Mara...”. “Ma con tutto il cuore mio caro –mi interrompe- verrò con te al Masai Mara” “Forse non hai capito... Ma sai, Mara...”. “Ma certo che ho capito dolcezza!”. A parte il fatto che a me dolcezza non l’ha mai detto nessuno, ma in quel momento mi sono sentito sbrodolare il cuore, tutto l’apparato dirigibile, cervello compreso. E uscimmo così abbracciati e navigammo verso il Villaggio. 40 euro per l’entrata e 50 per la notte. Ma ne e’ valsa la pena. Uno sfrocugliamento violento dei nostri corpi, tipo incontro amoroso fra un ragno e una medusa, che e’ durato fino al mattino. Caddi in un sonno profondo e ripieno di beatitudine. Al mattino la mia gazzella se n’era già andata. Avrà dovuto fare i compiti per le vacanze. Ma l’avrei sicuramente ritrovata la stessa sera al Frumento. Comunque, con o senza lei, ci avrei dovuto andare lo stesso; mi ero accorto che probabilmente dovrei aver perso là il mio portafogli visto che la tasca posteriore dei miei pantaloni era desolatamente vuota. Dopo una settimana son tornato in Italia. Comunque non ho beccato nessuna malattia. Solo una storta alla caviglia che mi sono procurato quando sono scappato dalla spiaggia assalito dai bicci boi e che mi fa ancora male. Che sia quello il mal d’Africa che dicono che si prende da quelle parti? Il mio periodo di ferie in qualità di Operatore Ecologico comunale stava per scadere. Morivo dalla voglia di raccontare agli amici del Bar Giuditta le mie avventure africane. Parlare loro dei Bicci Boi, della marea che tira su e giù il mare, della barriera cristallina, dei Tuc Tuc e dei Pota Pota, della luna che e’ più grande della nostra, dei Bamba neri che qui li chiamano i serpenti dei sette cazzi perché se ti beccano sono cazzi tuoi, del Frumento... A proposito di Frumento... quando ho voluto mostrare tutte le foto che avevo scattato mi sono accorto che nel bagaglio a mano mancava la macchina fotografica. Anche quella devo averla dimenticata là!

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Sab 25 Ago 2012, 14:34
BELLO, BELLO, BELLO, BELLO !!!!!!!!!!!!!!
giulia1
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Sab 25 Ago 2012, 19:00
letto in 1 minuto..... Smile Smile
Moma72
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Sab 25 Ago 2012, 21:14
ahahahahahaha fichissimooooo Smile Smile
leonemasai
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Umore : buono costante,specialmente in africa
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Dom 26 Ago 2012, 12:34
questo e un post da 10++
Bravooo jannis ,graziee x averci regalato questo spot di allegria,sembra la satira delle satire del benvenuti a malindi-kenia,un ridere da matti,e anke le assembleare dei sinonimi dei nomi,,fantastico..e pensa un po che oggi parto propio x malindi
niky
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Lun 27 Ago 2012, 07:42
una gran bella pillola di buon umore ...ci vuole !!
lucas
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Mer 29 Ago 2012, 11:46
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sabri lusu
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Sab 08 Set 2012, 09:26
Fantastico!!!! Sono appena rientrata da Malindi e questo racconto mi fa già sentire la mancanza di tutto questo!!!
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