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Il Kenya del 98

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KeCaldo
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Ven 29 Gen 2010, 21:51
In Kenia chiude Little Italy


Ma i Bot di Daniel Moi rendono il 20 per cento



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Corriereconomia.Reportage / Era diventata una specie di Riviera
romagnola. Ma ora che il Paese e' al collasso... In Kenia chiude Little
Italy Chi l'ha detto che a Malindi non si vede la vera Africa? Basta
percorrere gli otto chilometri di sterrato, sassi e savana che portano
in un'insenatura della spiaggia di Watamu - oceano verde bottiglia
coperto di alghe, capanne di contadini seminudi che diboscano impietosi
gli ultimi tratti di foresta, cartelloni che strillano in italiano
"Vendesi villa di lusso, vendesi lotto di terreno" - per vederla
all'opera, la vera, maledetta Africa: e' quella che ha iniziato a
rimangiarsi il villaggio turistico Jacaranda del toscano Beppe
Passaglia & soci, una manciata di edifici bianchi con tetti di
paglia abbandonati un anno fa su questo angolo di Kenia proprio alla
vigilia dell'inaugurazione. La piscina del Jacaranda non si e' mai
riempita di acqua. Quella che doveva diventare l'immancabile pizzeria
si e' riempita di vipere. Nelle sessanta stanze ci sono ancora i mobili
in stile swahili consegnati in fretta e furia per la stagione 1997 da
un bravo falegname italiano che vive in citta'. I materassi sono
appoggiati sui letti, le ventole non hanno mai fatto in tempo a girare.
Anche le zanzariere che dovevano dare al popolo del tutto - compreso
l'illusione dell'avventura sono bucate. Un askaro fa la guardia al
villaggio - fantasma, che ha l'atmosfera del luogo abbandonato a causa
di qualche calamita' naturale. La calamita' e' forse quella che, a
pagina 6 dell'autorevole settimanale The East African, un articolo
lungo esattamente cinque righe e mezzo riassume cosi': "Ieri il
ministro delle Finanze, Simeon Nyachae, ha ammesso che il governo del
Kenia e' in bancarotta e che la corruzione e' ormai incontrollabile".
Punto e a capo. Una notizia che valeva cinque pagine, o almeno cinque
inchieste. Ma in quelle poche righe c'e' tutta la laconica realta'
dell'azienda - Kenia: le infrastrutture sono al collasso, la
criminalita' dilaga, il malgoverno ha raggiunto livelli senza
precedenti provocando il blocco degli aiuti del Fondo monetario
internazionale, il turismo e' crollato del 40, del 60 in certi casi
dell'80 per cento, gli alberghi restano vuoti, i voli charter sono
sospesi (compresi tutti quelli dall'Italia), quelli di linea deserti. E
anche - qualcuno dice soprattutto - la Little Italy della costa,
immortalata dal film di Marco Risi con Diego Abatantuono "Nel
continente nero", rischia di chiudere i battenti. Malindi, l'ex paese
di pescatori musulmani che gli italiani avevano trasformato in una
seconda riviera romagnola con totocalcio, spaghetti, Gazzetta dello
Sport e baristi neri che ti dicono imperturbabili "uela, voi italiani
si' che li avete gli sghei, non come quei mort - de - fam dei crucchi",
ha da tempo l'aspetto triste di una Rimini fuori stagione. Il Jacaranda
doveva nascere la scorsa estate, ma la crisi l'ha ucciso in culla. Ha
fatto solo in tempo ad essere battezzato. Il suo patron, Beppe (a
Malindi ci si chiama solo per nome), sta seduto in canottiera e
pantaloncini nella sua villa in riva al mare e ammette: "Il Jacaranda
ci e' costato 4 miliardi. Possiamo solo sperare di rivenderlo.
Contatti? No, non ancora. La situazione e' dura: abbiamo passato molti
mesi da morti viventi, noi di Malindi. Dimenticati da tutti. Ora
vediamo come va la stagione '98. Vediamo, prima di tutto, se ci sara'.
Altri italiani, quelli della societa' Garoda, hanno costruito un
villaggio vicino al mio: 150 camere". Poi si tira i baffetti e ammicca:
"Non hanno neppure fatto in tempo a dargli un nome. Chiuso". Seduti al
Bar Bar del veronese Giuliano Tambara, dove ai bei tempi si giocava la
schedina e arrivavano piu' giornali italiani che in un'edicola della
madrepatria, i sopravvissuti passano il tempo facendo l'elenco degli
alberghi o dei residence colpiti dalla crisi: Jumbo, Tropical, African
Dream, Blue Club tanto per stare ai nomi piu' noti, poi il ristorante
Camillo, il ristorante Putipu', una miriade di piccoli bar, paninoteche
e negozi specializzati in costumi da bagno e unguenti per la pelle -
prodotti che nessun keniota compra - e un fantomatico shopping - centre
accanto alla discoteca Stardust, di cui resta solo un cantiere
completamente abbandonato. Si fa anche l'elenco di chi e' scappato da
un giorno all'altro, senza neppure salutare, come il falegname Silvano,
che dicono sia tornato dalla moglie brasiliana, o quel tizio che voleva
lanciare un'attivita' di noleggio di videogiochi. O il mitico Ben
Donati, uno che aveva aperto una bancarella di frutta e verdura al
mercatino africano, suscitando le proteste della gente locale che non
aveva mai visto un "muzungu" bianco intrufolarsi nella categoria dei
piccolissimi commercianti di strada. Sparito anche lui. Si e' lasciato
dietro una ragazza e qualche debitino. I racconti che si sentono di
questi tempi al Bar Bar non sono quasi mai a lieto fine. Se ne sono
andati anche molti italiani che avevano comprato casa, stanchi degli
intrighi di una comunita' litigiosa e non sempre cristallina. Lungo la
strada dell'aeroporto c'e' un cartello scolorito che pero' mantiene un
forte valore simbolico: "Vendiamo la tua villa da sogno". Firmato:
Zloty Investments Limited. La societa' di un piccolo imprenditore,
magari del Nord Est, che prima aveva tentato con la Polonia. Poi,
incassati o perduti alcuni zloty, aveva provato con il Kenia. E oggi e'
magari in Albania o in Romania, le nuove tappe di questa modesta
avanzata coloniale spaghettara. E, a proposito di spaghetti, e'
pressoche' chiuso anche l'Italian Pasta di Ennio Grasso, laboratorio
che ai tempi d'oro impiegava 15 persone a tagliare tagliatelle e penne.
A Malindi resta chi non riesce a vendere o chi, come il pensionato
Romeo Parronchi, e' venuto in questa Africa addomesticata in bilico tra
Islam e savana per una ragione di sapore mussoliniano: la faccetta nera
delle ragazze locali, che hanno la flessuosita' della somale e
l'eleganza delle abissine e sono cosi' diverse dalle africane
dell'interno. "Siamo insieme da tanti anni...", dice Romeo. "In fondo
questa e' la stagione delle piogge", si fa forza qualcun altro al Bar
Bar. Ma il sole africano picchia duro, il cielo e' azzurrissimo e uno
dei piu' realisti, il veterano Roberto Macri', 26 anni di Africa alle
spalle, fa i conti in modo diverso: "Abbiamo saltato l'estate '97 per
colpa dei disordini etnici, il capodanno '97 perche' c'erano le
elezioni e nuove violenze. Pasqua di quest'anno e' andata a zero. Si',
l'interruzione per la cosiddetta stagione delle piogge di aprile c'e'
sempre stata, ma tra una cosa e l'altra noi siamo chiusi ormai da un
anno. Colpa anche di voi giornalisti, che avete scoperto all'improvviso
che in Africa ci sono la malaria e i disordini tribali. Ma ci sono
anche a Zanzibar. Eppure li' gli alberghi sono pieni. Perche'?". Forse
perche' Malindi ha puntato solo sugli italiani e sui loro voli charter,
invece di puntare sugli altri mercati e sul turismo di qualita'.
"Abbiamo sbagliato", ammette Macri'. Ma l'uomo che ha inventato
Malindi, Armando Tanzini, scultore geniale, pittore e ora imprenditore
(ha un albergo e una fabbrichetta di mobili) con tanto di passaporto
keniota e ottime amicizie a Nairobi, vede il lato positivo della crisi:
"Fara' del male, ma c'e' bisogno di un po' di purificazione. Dobbiamo
liberarci delle scorie e tenere il meglio. Perche' le potenzialita' del
posto restano". Resta anche una scritta che il Rotary Club di Malindi
ha ritenuto di dover appendere all'ingresso del minuscolo aeroporto:
"Vietata l'importazione o l'uso di qualsiasi droga, indipendentemente
dalla quantita". Una scritta che colpisce perche' e' in italiano e
riporta a episodi del passato della nostra cronaca giudiziaria. Cosi'
come e' nostrana l'unica azienda che continua a prosperare come prima
della crisi: il casino' dell'italo - americano Roberto Cellini, dove
negli ultimi anni molti alberghi sono passati di mano. Come tutto a
Malindi, anche la speranza di riscossa e' italiana. Si chiama Flavio
Briatore, l'ex manager della scuderia Benetton di Formula uno, che ha
comprato una grande tenuta e si e' fatto costruire un motoscafo di
lusso, un 12 metri disegnato da Mario Scianna. Il suo coraggio e' tanto
controcorrente da meritarsi un articolo sul giornale delle linee aeree
keniote.
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Corriereconomia. Ma i Bot di Daniel Moi rendono il 20 % I turisti
fuggono dal Kenia, gli imprenditori italiani scappano da Malindi. Ma
per i capitali di rischio le banche del Paese africano continuano a
restare un porto sicuro. Tanto che, secondo alcune voci, sono molti gli
italiani che, mentre cancellavano il biglietto aereo sul charter
diretto a Mombasa, hanno fatto sostanziosi trasferimenti valutari in
Kenia. La ragione e' semplice: i Bot kenioti, emessi dal Tesoro per far
fronte a una situazione drammatica dei conti pubblici, sono molto
redditizi. Quelli a 91 giorni, i preferiti dagli italiani, danno un
rendimento netto superiore al 20 % . "Mi risulta che siano in molti ad
approfittarne", dice un imprenditore italiano di Malindi, che ha
lasciato l'Italia dopo alcune disavventure con la propria azienda di
arredamento. Ma il rischio - cambio? La possibilita' che lo scellino
keniota crolli nei confronti del dollaro o della lira? La possibilita'
esiste, ma finora non si e' verificata. "Il governo del presidente
Daniel arap Moi e' deciso a mantenere un valore artificialmente alto
della valuta keniota, proteggendola nei confronti delle valute estere.
Quindi, almeno finora, il rischio e' stato annullato", spiega
l'imprenditore. Secondo gli esperti, il governo ha preso in prestito
dai propri cittadini - e dai privati stranieri - la cifra record di 160
miliardi di scellini, cioe' poco meno di 5 mila miliardi di lire. Una
cifra enorme per un Paese dalle dimensioni economiche del Kenia. Tanto
piu' che, per pagare gli interessi su questo debito, il governo di
Nairobi deve trovare mille miliardi all'anno.
Fonte corriere della sera. Archivio storico
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Sab 30 Gen 2010, 04:13
Carissimo KeCaldo, scusa la libertà di appellarti così, bellissimo il pezzo che riporti sopra.
Dopo il boom degli anni 80, il crollo degli anni 90, tanti ci hanno lasciato le penne e son rientrati in Italia, ovvio chi lo poteva fare e non certo per mancanza di mezzi di trasporto.......chi non lo ha potuto fare per altri motivi,li trovi molto ridimensionati ancora al Bar Bar di pomeriggio a giocare a scopa o briscola, la Malindi Nuova che è collassata in quegli anni è rimasta ancora così, gli imprenditori quelli seri, pochi, sono tutt'ora presenti e sono certo che rileggendo il pezzo sopra diranno, io c'ero, non ho mollato e sono ancora qui.
Certo che i bot di Daniel Moi.... bè quelli tutta un'altra cosa
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