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kenya-Wanuri Kahiu/film "PUMZI"

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Mer 15 Set 2010, 22:33
fonte"GV online"


Mercoledi, 15 Settembre 2010
Wanuri Kahiu: "Così trasformo in film le storie raccontate dalle donne del Kenya"

Una donna con la “D” maiuscola. Questo è Wanuri Kahiu. Ha stile, mille cose da raccontare ed è tra i più talentuosi registi africani del momento. Si presenta al primo incontro con la città di Venezia vestita di verde e rosso porpora, i tacchi e i capelli cortissimi tagliati poco più di un anno fa il giorno del suo ventinovesimo compleanno: «Volevo farmi un regalo - dice -: cambiare. Perciò mi sono liberata dei miei capelli e li lascio cortissimi».
Wanuri, dopo il premio come miglior film indipendente a Cannes, il suo cortometraggio, “Pumzi” (prodotto da Simon Hansen), ha vinto anche il “Premio città di Venezia 2010”, che le verrà consegnato sabato 11 alle 9 in Sala Pasinetti al Palazzo del Cinema del Lido (per l'ingresso serve un pass. tel. 339.403.25.33) e al pomeriggio alle 20.30 al Centro Candiani di Mestre (accesso libero).
Che cosa racconta questo film?
È ambientato in un ipotetico mondo futuro 35 anni dopo la III Guerra Mondiale. La natura è estinta e l'uomo vive in strutture sotterranee costantemente minacciate dalla mancanza di acqua. Asha, la protagonista, un giorno riceve una cassetta contenente della terra. Vi pianta un seme e incredibilmente questo germoglia. Decide così di scappare dal mondo sotterraneo e di cercare la vita fuori: è convinta che ci sia ancora qualcosa...
Come è nata l'ispirazione?
È arrivata parlando con un'amica. Immaginavamo la vita in un futuro in cui non ci sarà più la natura, in cui le persone che vivono in città dovranno comperare l'aria pulita dalla campagna e non ci sarà più acqua.
Una previsione fatta alla luce del presente?
Sì. Credo che se non cominciamo a prenderci davvero cura dell'ambiente finiremo per distruggere noi stessi e ogni possibilità di vita.
Soluzioni?
Non credo molto nelle strategie politiche. Penso che dovremmo agire individualmente e fare ciascuno uno sforzo per preservare l'ambiente. Risparmiare acqua, riciclare, riutilizzare, vivere nel rispetto della natura. Dobbiamo sviluppare un senso di responsabilità del singolo.
Il suo film presenta quindi una tematica del tutto pessimistica...
No. Il mio film non è pessimista. Al contrario, c'è molta speranza. “Pumzi”, non a caso, in swahili significa “respiro” e il respiro allude alla vita. Parla di sacrificio, di amore. L'amore di questa giovane donna per il suo seme e per la vita. Non racconta solo la passione che lei mette per far crescere questo seme, ma il fatto che lei voglia uscire dal mondo artificiale nella convinzione che ci sia ancora una vita fuori.
“Pumzi” è il primo film di fantascienza africano. Cosa l'ha spinta ad allontanarsi dalla realtà?
Non avevo mai pensato di scrivere un film di fantascienza: non sono nemmeno una grande amante del genere. Semplicemente è la storia che è arrivata da sola senza che io potessi scegliere. Succede sempre così: le storie che ho in testa ad un certo punto si scrivono e si raccontano da sole, qualsiasi sia il genere.
È difficile essere un regista in Kenya? Essere donna rende le cose più complicate?
Dico sempre che è solo quando sono all'estero che capisco di essere davvero una regista. In Kenya sono solo una persona normale che cerca di pagarsi l'affitto e di mangiare. Però il fatto che io sia donna non c'entra. Anzi, in Kenya la maggior parte dei registi è donna.
Perché?
Per tradizione penso, perché da sempre in Africa sono le donne a essere le narratrici. Raccontano storie ai bambini mentre cucinano, prima di andare a dormire o per svegliarsi o come insegnamenti di vita. Mia mamma mi raccontava tantissime storie. Ho dovuto compiere 20 anni prima di capire che molte delle cose che mi raccontava non erano vere.
La sua storia preferita?
Una storia sulle nuvole. Mia mamma diceva che all'inizio le nuvole erano al livello del suolo. Bastava che gli uomini allungassero la mano, strappassero un pezzo di nuvola e la mangiassero. Poi hanno cominciato a sprecare. Prendevano pezzi di nuvole, ma non mangiavano tutto e buttavano il resto a terra. Perciò il cielo ha cominciato ad alzarsi, in modo che gli uomini capissero che niente doveva andare sprecato. Per loro era più difficile mangiare, ma ci riuscivano lo stesso e continuavano a sprecare. Quindi le nuvole si sono alzate sempre di più. E il cielo è diventato come è adesso.

Cinzia Franceschini

Tratto da GENTE VENETA, n.33/2010
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